Contro il coronavirus è stata scoperta un’arma che pare estremamente efficace: il plasma iperimmune, ovvero quello ricavato dal sangue delle persone già guarite. La sperimentazione è partita al San Matteo di Pavia e all’ospedale Poma di Mantova. Nel secondo ospedale opera il primario di pneumologia Giuseppe De Donno. Il medico è balzato agli onori delle cronache per aver salvato con il plasma, unico caso al mondo, una donna incinta di sei mesi e la bambina che portava in grembo. Poco dopo, tuttavia, De Donno ha fatto presente che qualcuno avrebbe cercato di ostacolarlo. Nelle cronache locali si leggono alcune sue preoccupate dichiarazioni: «I professori che parlano in televisione, condizionano la classe politica senza avere le basi scientifiche e questo è qualcosa sul quale bisogna intervenire pesantemente. Sono un uomo libero, che in questo momento ha sul tavolo 18 proposte di lavoro: ostinatamente voglio rimanere a lavorare in Italia ma si capisce bene che se mi porteranno all’esasperazione sarò costretto ad accettare una di queste offerte per continuare a vivere e a lavorare serenamente». E ancora: «Ogni giorno leggo cose assurde sulla terapia col plasma, vere e proprie fake news portate avanti da chi con la medicina ha poco o nulla a che fare. Non abbiamo avuto un effetto collaterale, non abbiamo avuto una reazione avversa a nessuno dopo la trasfusione ricevuta, tutti gli indici di infiammazione si sono ridotti drasticamente, i sintomi migliorati. E questo è avvenuto in tutti i 48 pazienti che hanno preso parte allo studio della terapia». Infine: «Altro fake è ritenere questa terapia costosa: falso! Ogni sacca da 600 ml costa 164€, quindi ogni sacca dose-paziente costa 82€. Se tutto questo è troppo per salvare una vita, forse io davvero non ho capito nulla della medicina». In proposito si sono evidenziate alcune polemiche anche sulla scarsità di plasma disponibile e sulla sua sicurezza.
Il suo profilo Facebook è scomparso per un paio di giorni dai radar dando origine ad un giallo. Quando è tornato sui social De Donno ha detto che non riusciva più ad operare serenamente a causa della pressione mediatica. Di questa terapia, al momento l’unica efficace direttamente sul virus, sappiamo alcune cose: non si tratta della pozione magica di qualche avventuriero in cerca di pubblicità, ma di una tecnica che ha oltre cento anni che il team mantovano e quello di Pavia hanno perfezionato nella lotta al coronavirus in due ospedali pubblici. Sappiamo anche che il medesimo protocollo è ora in sperimentazione a Lodi, Crema, Milano, in diverse regioni italiane e in altri Stati del mondo. Gli esiti della ricerca sono all’attenzione della New England Journal of Medicine, probabilmente la più importante rivista medico scientifica del mondo. Oltre al caso eclatante del salvataggio della donna in gravidanza, ve n’è un altro: quello di un uomo ormai in coma e dato per spacciato all’ospedale di Bergamo, guarito dall’équipe di De Donno dopo che la cura sperimentale sul paziente era stata autorizzata direttamente dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Quindi, sgomberato il campo da ogni equivoco, giova ricordare alcune cose ai detrattori della terapia: la prima, fondamentale, è che il diritto alla salute è garantito dalla Costituzione e non può essere tollerato alcun ostacolo al cittadino che chieda di essere curato. Assurda mi pare la motivazione dei detrattori sul fatto che non ci sia plasma per tutti: non dobbiamo curare tutta l’Italia, ma qualche migliaio di pazienti in condizioni critiche. Al limite ci si porrà il problema quando il plasma imperimmune sarà finito: non dobbiamo fermare la ricerca di un vaccino o di un farmaco, ma curare subito persone che rischiano di morire. Altrettanto ingiustificata è la preoccupazione di possibili contagi da plasma infetto di fronte ad un pericolo imminente di vita, fermo restando che i controlli sul sangue in Italia sono i più severi del mondo per via di scandali occorsi nel nostro Paese trent’anni fa. Addirittura assurda mi pare poi la questione dei presunti costi elevati del plasma iperimmune: quand’anche quelli reali fossero di molto superiori a quanto sostenuto da De Donno, in Italia non può certamente costituire un diniego d’accesso alla terapia. Si tratta di costi che lo Stato deve sostenere, così come sostiene quelli altissimi delle terapie intensive o di molteplici cure in altri Paesi proibitive. Peraltro dalle casse erariali sono uscite di recente decine di milioni di euro per mascherine di protezione acquistate da società improbabili o fantasma e mai arrivate, su cui oggi indagano diverse Procure italiane. Come dire che la questione economica è davvero l’ultima a poter mettere in discussione la terapia.